9. La peste del 1630 a Gassino

9. La peste del 1630 a Gassino

Nella prima metà del XVII secolo la comunità gassinese, come tutte quelle appartenenti al Ducato di Savoia, stava affrontando uno dei periodi più funesti della sua millenaria storia, falcidiata da un lungo periodo di guerre, carestie e, non ultimo per importanza storica, dalla recente infeudazione che privava la popolazione degli antichi privilegi concessi dai marchesi di Monferrato e successivamente dai duchi di Savoia. 

I primi casi del “morbo contagioso”, così definito nelle annotazioni, “contagg” in vernacolo locale, da cui la popolare esclamazione piemontese “contacc!”, si verificarono verso la prima metà di giugno. Ad essere colpiti per primi furono soprattutto gli abitanti del “Cantone della Villa”, l’attuale quartiere compreso tra la piazza A. Chiesa, via Mazzini, via Cavour e piazza A. Sampieri che furono costretti a non uscire più di casa e posti sotto stretta sorveglianza. 

Il 30 giugno ha luogo l’ultima seduta dell’amministrazione comunale, guidata dai sindaci Gaspare Chiesa e Agostino Rustichelli, nella sala adibita alle riunioni. Dopo questa adunanza il municipio viene dichiarato non più agibile e per le successive assemblee, assai frequenti per l’acuirsi dell’epidemia, verranno utilizzati luoghi più sicuri. Soltanto nel maggio dell’anno successivo, debellata l’epidemia, si potranno nuovamente riaprire le porte della casa comunale. 

Verso la metà di luglio lo scenario si aggrava e vengono adottate ancor più rigide disposizioni. Fuori dall’antica cinta muraria, che presto sarà demolita, viene costruito il lazzaretto, rudimentale baraccopoli per ospitare infetti e soccorritori. L’esatta ubicazione di questo luogo non è ben precisata sui registri dell’archivio. È però ipotizzabile che si trovasse al fondo dell’attuale via Diaz, luogo lontano dall’abitato e dal percorso dei forestieri. Oltre il ponte che attraversa il canale ENEL e adiacente all’acquedotto, nel 1956 fu, infatti, inaugurato un pilone votivo dedicato a san Rocco dove anticamente sorgeva una cappella a lui intitolata, poi demolita per lo stato di abbandono in cui versava. Tale cappella, con molta probabilità, fu costruita proprio nel luogo del lazzaretto a ricordo di quei giorni infausti, secondo l’usanza dell’epoca che esortava i fedeli ad affidarsi a san Rocco, protettore dal flagello della peste. Giovanni Bricca e Gaspare Campasso sono designati per fornire a tutti coloro che saranno ricoverati cibo e beni di prima necessità. 

Tutti i cittadini non contagiati ricevono l’ordine di non uscire di casa se non per aspergere speciali effluvi per le contrade. Viene fatto un voto ad Amedeo IX di Savoia, nei testimoniali denominato “beato”. Termine improprio in quell’epoca ma comunque di buon auspicio poiché il duca sabaudo, al quale Gassino aveva giurato fedeltà nel 1467, soltanto nel 1678 sarà innalzato, da papa Innocenzo XI, agli onori degli altari. Secondo le memorie tramandate nel tempo, l’intercessione di Amedeo IX già in passato, e precisamente nel 1472, aveva contribuito ad allontanare dai confini gassinesi una minaccia di contagio. Il voto prevedeva, come successivamente si attuò, l’erezione, all’interno della chiesa della B. V. Assunta, di una cappella a lui dedicata. Poco lontano da questa chiesa, lungo le sponde del rio Riassolo, luogo assai distante dall’abitato, si destinò un’area dove inumare i defunti, evitando di utilizzare il cimitero ordinario adiacente alla chiesa parrocchiale. 

La situazione, già molto difficile, verso la fine di luglio divenne spettrale. Il contagio si diffuse rapidamente: in quei giorni risultarono infette 37 case oltre a 13 sospette, un centinaio gli infettati su una popolazione di circa 600 persone. Tra il 25 e il 30 luglio furono registrati ben 24 decessi. Le angosciose circostanze indussero molti gassinesi a lasciare il paese. Tant’è che il consiglio comunale del 30 luglio risultò quasi deserto. A pagare le conseguenze di questo repentino spopolamento furono i ricoverati del lazzaretto che a stento riuscirono a ricevere il necessario alla sopravvivenza. Le delibere del consiglio comunale del 4 agosto, se da un lato risultarono necessarie per combattere il contagio, inasprirono ulteriormente questo scenario surreale. Si stabilì come unico pubblico pozzo d’acqua fruibile, per chi non possedeva un pozzo privato, quello di Piazza, situato presso l’attuale sagrato della chiesa dello Spirito Santo, presidiato stabilmente da un addetto che riempiva personalmente di acqua i recipienti dei cittadini che si presentavano.

Quella del 4 agosto è l’ultima seduta dell’amministrazione comunale di Gassino riferita a questa tragica vicenda. Venne decretata l’uccisione di tutti i cani, i gatti, polli e galline, ovvero tutti quegli animali accostati a parassiti come pulci e pidocchi. Pur non avendo dati statistici definitivi e precisi, si può presumere che le vittime gassinesi furono tra le 60 e le 80 e più, ovvero ben oltre il 10% della popolazione, gran parte della quale si era allontanata dal borgo per ritornarvi soltanto all’inizio dell’inverno quando, con il primo freddo di stagione, la peste cessò i suoi tragici effetti.