A cura di Carlo Bosco, tipografo e storico locale
Le origini di Gassino, in quanto insediamento permanentemente popolato, non sono individuabili con la dovuta precisione per la mancanza di una chiara documentazione. È comunque ipotizzabile una certa importanza di questa località già in epoche remote poiché situata sull’antica strada che collegava l’importante municipio romano di Industria (Monteu da Po), abitato dalla tribù Pollia, alla città di Augusta Taurinorum (Torino).
La prima citazione di Gassino giunta ai nostri giorni compare sul documento del 22 marzo 967 con il quale l’Imperatore del Sacro Romano Impero, Ottone I il Grande, conferisce ad Aleramo il dominio sul Marchesato di Monferrato nel cui territorio figura anche Oppidum Gassingum, ovvero il borgo fortificato di Gassino, esistente probabilmente fin dal V secolo d. c. quando Teodorico, re degli Ostrogoti, occupate le terre del Monferrato, ebbe cura di fortificare villaggi e città lungo il corso del Po, minacciati da continue invasioni barbariche.
Con un diploma del 28 febbraio 1004 Arduino d’Ivrea, re d’Italia, confermava ad uno dei suoi uomini più fidati, Alberico, il dominio su alcuni beni tra cui tre poderi situati in Villa Gassingo, nel villaggio di Gassino, col chiaro proposito di osteggiare l’espansione del potere vescovile della vicina Torino. Un altro antico documento testimonia che tra il 1010 e il 1031 il vescovo di Torino, Landolfo, affidò al prete Lissone la Pieve di San Pietro in Gassino con le quattro cappelle di San Salvatore, Santa Maria, San Michele e Sant’Eufemia, probabilmente erette successivamente al dominio longobardo sulle terre subalpine.
Da Alberico, primo signore di Gassino, discesero, secondo una tradizione non suffragata da una valida documentazione, i Feudatari dei tre castelli situati sui colli che dominano il borgo: Ostero sul colle di San Grato, Polosenda in regione Rocco-Aprile e Polmoncello sul Colle della Trinità, tutti risalenti al XII secolo. Tra questi occorre inserire, per l’importanza strategica che aveva per il territorio gassinese, anche il castello di Tondonito posto su un colle in prossimità di Bardassano e affacciato sulle terre del Chierese.
Nel 1164 Guglielmo di Monferrato, il cui Marchesato comprendeva anche Gassino, per garantirsi l’appoggio del borgo gassinese come baluardo difensivo contro il Comune di Chieri, conferì alla comunità locale l’autonomia della pubblica amministrazione. Gassino fu quindi elevata a Comune autonomo e la sua posizione di terra di confine, non solo con la Repubblica di Chieri ma anche con la Marca di Torino permise ai suoi cittadini di ottenere sempre maggiori privilegi. Tra questi il sussidio, concesso nel 1299 dal marchese Giovanni I di Monferrato, corrispondente a metà della spesa per concludere l’innalzamento, iniziato in epoche antecedenti, delle robuste mura difensive che circondavano il borgo, intervallate da quattro torri d’avvistamento e da quattro porte d’ingresso all’abitato: a est la porta di San Pietro, a sud la Porta di Santa Maria, a nord la Porta di Po e una quarta porta rivolta a ovest in direzione Torino.
Nel 1305, con l’improvvisa scomparsa del Marchese Giovanni, e priva di un successore diretto, terminò la dinastia degli Aleramici del Monferrato. Dalla conseguente crisi per la successione ne approfittò il Marchese di Saluzzo, Manfredo IV, che occupò alcuni possedimenti appartenenti al marchesato del Monferrato, tra cui Gassino, e, per assicurarsi l’appoggio degli abitanti del luogo, concesse loro nuovi privilegi. La conquista di Gassino da parte di Manfredi provocò la reazione di Filippo di Savoia principe d’Acaia, al quale già appartenevano vasti territori nel Piemonte occidentale e che, con i suoi uomini, cinse il borgo gassinese d’assedio per quasi un anno. Assedio che terminò quando, dopo lunghe trattative, gli abitanti assediati riuscirono ad ottenere ulteriori e più proficui privilegi. Tra cui l’impegno da parte dei nuovi Signori di non concedere a nessuno Gassino e il suo territorio come feudo. Si instaurò così con Filippo d’Acaia un rapporto di fedeltà e dedizione.
Il principe sabaudo, al quale la comunità di Gassino aveva donato una casa e un terreno, pose a governo di questa località un Castellano in sua rappresentanza. Il primo Castellano di Gassino, Guido Carmenti, ricevette l’investitura il 20 maggio 1306. Nel tentativo di riprendersi il borgo di Gassino e il suo territorio, i Marchesi del Monferrato, durante il secolo XIV, strinsero d’assedio questa località in altre due occasioni, nel 1337 e nel 1397. In ambedue i casi le milizie e la popolazione gassinese riuscirono ad opporre agli assedianti una ferrea resistenza, protetti dalle inviolabili mura che nessuna armata nemica riuscì mai a valicare, nemmeno quella del condottiero monferrino Facino Cane che nel 1396 aveva tentato il saccheggio di Gassino. Nel corso dell’assedio del 1397 i gassinesi si affidarono per la controffensiva ad una “macchina lanciante palle di ferro” che un tale Fra Marcello aveva costruito per quella comunità tra il 1326 e il 1327. È questo un dettaglio storico di notevole rilevanza poiché l’annotazione del Castellano Guglielmo Dro riguardante il saldo della fattura di questo strumento è una delle più antiche documentazioni esistenti in Italia sulle armi da fuoco.
Le diatribe contro il Marchesato di Monferrato, dopo varie tregue e innumerevoli tentativi di riconciliazione, terminarono nel 1413 con la pace definitiva firmata nelle vicinanze di Settimo.
Nel 1416 il principato del Piemonte, conclusa la dinastia degli Acaia con il principe Ludovico, si unì alla contea di Amedeo VIII dando vita, col consenso dell’Imperatore Sigismondo, al Ducato di Savoia.
Nel corso dei secoli successivi, in conseguenza alle continue esigenze di denaro da parte dei Savoia per far fronte alle ingenti spese militari nei lunghi periodi di guerra, per Gassino si ridussero gradualmente gli antichi privilegi con buona parte delle risorse del territorio destinate ai creditori di Casa Savoia. Finché nel 1615 Gassino e il suo territorio furono destinati a feudo in favore di Carlo Villa di Ferrara. A questa investitura ne seguirono molte altre coinvolgendo alcune tra famiglie più ricche e prolifiche del tempo, i Mutti, gli Zoello fino ai Claretti Ponzone di origini provenzali.
Tra il XVI e il XVII Secolo Gassino fu oggetto di una profonda trasformazione urbanistica. Mentre sulle colline circostanti i tre castelli di Polosenda, Polmoncello e Ostero erano stati desolatamente abbandonati all’oblio fino alla totale scomparsa, all’interno del borgo fortificato il castello-fortezza fu smantellato e sostituito da fabbricati per uso privato. Venne comunque mantenuta l’antica struttura, tipica delle città di origini romane, costituita da due assi ortogonali alle cui estremità si trovavano le porte d’accesso al borgo. Gradualmente anche le mura, le torri e le porte furono demolite mentre le abitazioni della via centrale, di proprietà dei gassinesi più facoltosi, furono corredate da ampi portici. In prossimità dell’incrocio tra le due vie che separavano in quattro cantoni il nucleo abitativo venne innalzato, a partire dal 1684, il campanile accanto al quale, successivamente fu costruita l’imponente chiesa della Confraternita dello Spirito Santo, opera barocca dalla chiara impronta juvarriana.
Particolarmente drammatica fu la situazione vissuta dai gassinesi durante l’assedio, e successiva liberazione, di Torino avvenuta nel 1706. Il territorio di Gassino, infatti, si trovò coinvolto nelle manovre di una parte dell’esercito francese che, nel tentativo di raggiungere la capitale subalpina attraverso la sponda destra del Po, soggiornò per diversi giorni in questa zona con saccheggi e soprusi patiti dai cittadini gassinesi.
Anche nel periodo risorgimentale i gassinesi furono spesso afflitti da periodi travagliati, il più delle volte originati da calamità naturali con conseguenti danni per la produzione agricola, principale fonte di sostentamento della popolazione, la quale, in più occasioni fu costretta in buona parte ad emigrare all’estero.
Accanto a quella agricola, un’altra attività costituì per secoli una fonte fruttuosa per una parte della popolazione gassinese: l’estrazione del calcare, meglio conosciuto come pietra o marmo di Gassino. Materiale da costruzione utilizzato in innumerevoli edifici di pregio come la Basilica di Superga, Palazzo Madama, Palazzo dell’Università di Torino e che costituì per il barocco piemontese una pregevole risorsa.
Nell’epico periodo dell’Unità d’Italia, anche grazie ai numerosi villeggianti che avevano scelto questa località per le vacanze estive, Gassino, nominata Capoluogo di uno dei Mandamenti in cui era suddiviso il Piemonte nel periodo successivo all’annessione francese dei primi anni del XIX secolo, visse diversi periodi di floridezza e di intensa attività con l’apertura di botteghe e alberghi. L’ospitalità di ristoranti, trattorie e osterie attirava a Gassino frotte di torinesi richiamati, oltre che dall’aria buona e dall’amenità del luogo, dalle specialità gastronomiche servite esclusivamente a base di prodotti locali. In quell’epoca la popolazione locale ebbe modo di trarre notevoli vantaggi dal comodo collegamento con Torino per mezzo del tramway, inaugurato nel 1881, e dall’apertura, nel 1911, di un dinamico stabilimento industriale, Sobrero, che offriva lavoro a centinaia di lavoratori.
Il mondo contadino gassinese, dalle secolari radici, subì nel XX secolo gli effetti dello sviluppo industriale in continua espansione, principale causa del sensibile declino della produzione agricola che si ridimensionò fino alla quasi totale scomparsa.
Oggi Gassino, sul cui territorio sono in molti ad operare per la riscoperta e il mantenimento delle antiche tradizioni locali, è un centro residenziale.
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Anche a Gassino sventolava il tricolore. 1848-1918: cronaca e storia in Gassino e dintorni negli anni del Risorgimento italiano
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