Per diversi secoli, fino ai primi decenni del 1900, il Ròc di Gassino, una zona collinare attualmente rivestita di folta vegetazione boschiva ma un tempo meticolosamente coltivata, ospitò alcune cave per l’estrazione di una singolare roccia da costruzione, il Calcare di Gassino, meglio conosciuto come Pietra di Gassino e, in alcuni casi, seppur con un eccesso di enfasi, Marmo di Gassino. Cave abbandonate ormai da lungo tempo perché non più produttive anche se non del tutto esaurite. Questo materiale, che in passato suscitò un particolare interesse di insigni geologi come Federico Sacco e Giacomo Trabucco, fu impiegato in larga scala per edifici pubblici e privati della zona ed è da considerarsi come un elemento tipico del Barocco Piemontese poiché, tra il XVII e il XVIII secolo una buona parte fu abbondantemente utilizzata nella costruzione di moltissimi edifici, chiese e palazzi soprattutto, mentre un’altra parte, la più consistente, era destinata alle fornaci per la calce. L’ampio uso di questo materiale in Torino e dintorni è da ricercarsi, in modo particolare, nella relativa comodità del trasporto, agevolata dalla vicinanza di Gassino con la grande città.
Nel corso del tempo furono molte le famiglie di Gassino ad essere coinvolte in questa attività. Tra le altre figurano i Vaudetti, i Gianone, i Caviglione, i Chiesa.
Del calcare di Gassino ne fecero uso famosi architetti tra cui il Guarini, Amedeo di Castellamonte, Lanfranchi, Juvarra, Vittozzi, per la realizzazione di importanti opere. Tra queste figurano il Palazzo di Città di Torino, la Reggia di Venaria, il Palazzo dell’Accademia delle Scienze, l’ex Ospedale Maggiore di San Giovanni Battista, il loggiato del Palazzo dell’Università, Palazzo Madama, Palazzo Carignano, il colonnato della Basilica di Superga, le chiese del Corpus Domini, di San Filippo, della Consolata, di Santa Cristina e, a Chieri, quella della Madonna delle Grazie. Nella stessa cittadina di Gassino l’utilizzo di questa pietra è notevole, basta percorrere il centrale corso Italia per notarne l’uso per i portoni d’ingresso di molte abitazioni. Anche nelle chiese locali, tra cui la chiesa della Confraternita dello Spirito Santo, l’utilizzo di questo materiale è vistosamente diffuso. Un’altra importante opera, realizzata con Calcare di Gassino, è il cavallo, scolpito in un unico blocco, del monumento equestre di Vittorio Amedeo I eseguito da Andrea Rivalta verso la metà del XVII secolo, esposto nello scalone di entrata del Palazzo Reale di Torino. Di particolare significato storico è il fonte battesimale della chiesa parrocchiale di San Biagio a Buttigliera d’Asti. Realizzato nel 1587, è da considerarsi come una delle prime opere datate realizzata con questo materiale. Un lungo elenco che ci induce a riflettere su quale e quanto utilizzo se ne fosse fatto in passato per un’importante tipologia di manufatti ovvero quella riguardante il corredo delle chiese. Acquasantiere, balaustre, gradinate, colonne, basamenti di altari sono tutt’oggi testimonianza viva dell’intensa attività di quanti lavorarono sui bricchi del Ròc di Gassino, tra il Bric Porassa e la Costa Battaina. Con un po’ di fantasia possiamo ancora oggi immaginare, su quei colli, il ritmico picchiettio dello scalpellino*. A violare il silenzio della natura che lassù tra le cave abbandonate ci riporta indietro nel tempo.
- Per il colonnato della Basilica di Superga l’intera area delle cave gassinesi, all’epoca di proprietà comunale e affittate con appalto a privati cittadini, fu requisita per la Real fabricha di Soperga dalle autorità governative che vi stabilirono un ingegnere fisso quale responsabile delle estrazioni. Un grande disagio per il Comune di Gassino che per qualche anno dovette rinunciare ai guadagni degli appalti. Lo stesso governo del Regno scarsamente mantenne l’impegno di pagare il dovuto. Per questo motivo è ipotizzabile che per la costruzione della Chiesa dello Spirito Santo siano stati utilizzati gli stessi studi architettonici utilizzati per la basilica di Superga. Questo probabilmente per ripagare i gassinesi dei disagi patiti.
Nel 1680 una discreta fornitura di pietra di Gassino fu utilizzata per il portone d’ingresso del Castello di Racconigi del principe Emanuele Filiberto di Carignano. Tale fornitura servì per pagare in buona parte diversi debiti contratti con il governo savoiardo nel corso del XVII secolo, epoca costellata da lunghi periodi di guerra e dalla comparsa della peste anche tra le contrade di Gassino.
** Nei documenti dell’epoca sono chiamati picapietre dal piemontese picapera.
Il Calcare o “pietra” di Gassino proviene da un’area ubicata sulla Collina di Torino ed in particolare nelle frazioni Bardassano e Bussolino rispettivamente sui lati destro e sinistro idrografico della valle del Rio Maggiore nel comune di Gassino Torinese.
Si tratta di una roccia di tipo organogeno depositatasi a partire da circa 37 milioni di anni fa durante l’Eocene Superiore. Essa è costituita dai resti di una miriade di organismi appartenenti ai più svariati gruppi animali e vegetali; tra questi i importanti sono sicuramente i macroforaminiferi: organismi marini unicellulari, e le alghe coralline; ma non mancano anche resti di vertebrati come ad esempio denti di pesce. È proprio questa caratteristica che sin dagli inizi del XIX secolo attirò numerosissimi studiosi rendendo il calcare di Gassino famoso in tutta Europa.
Sulla base del contenuto paleontologico fu infatti possibile suddividere la successione sedimentaria in tre porzioni diverse: il membro di “Villa De Filippi” alla base, quello di “Caviglione” o “Caviggione” in mezzo e infine quello dei “Bertot”, considerato come sinonimo del Calcare di Gassino vero e proprio, nella porzione superiore.
Ad oggi risulta piuttosto difficile dare un’indicazione delle possibili aree di affioramento della successione poiché i corpi sedimentari che la andavano a costituire risultano essere quasi completamente esauriti, a causa dell’intensa attività estrattiva avvenuta nei secoli passati e a causa della successiva incuria da parte dell’uomo. Tuttavia, alcuni resti della passata attività antropica, sarebbero ancora rintracciabili a valle della Cascina Aprile, dove sarebbe ancora presente un piazzale di cava ora totalmente nascosto da una fitta coltre arborea spontanea, e in uno sparuto affioramento lungo la strada comunale tra Bardassano e Gassino, in prossimità di un tornante vicino a Cascina Bosco.
Articolo tratto dalla rivista chierese Arte e Cultura n. 9 dicembre 2014-Gennaioo 2015
firmato Luca Ghiraldi
L’Associazione Amici del Calcare di Gassino
Nel 2024 è stata fondata a Gassino una nuova associazione, denominata CaCO3+Ga → Amici del Calcare di Gassino. Molteplici gli scopi di questo sodalizio. Tra questi la necessità di tramandare alle nuove generazioni il ricordo dell’attività estrattiva delle cave locali. L’associazione, supportata da un Comitato Scientifico ad hoc si propone inoltre di diffondere, con l’utilizzo di mezzi informatici e pubblicazioni, la conoscenza di questo materiale. Tra i vari progetti in corso vi è la catalogazione di tutte quelle opere che del Calcare di Gassino ne sono in parte costituite. Si tratterà di un’opera di inventario di chiara importanza e mirata a monitorare lo stato di degrado di molte opere costruite con questo materiale che per sua caratteristica è scarsamente resistente agli agenti atmosferici. Un problema soprattutto per chi opera nel settore del restauro per la quasi totale impossibilità di reperimento, essendo tutte le scorte esaurite da tempo.
Le foto presenti in questo percorso provengono dall’archivio Associazione Amici del Calcare di Gassino.