Le vicende storiche del Comune di Gassino, nel periodo successivo alla morte di Giovanni I, marchese di Monferrato, ultimo degli Aleramici, furono assai travagliate. A partire dal 1307 i gassinesi entrarono ufficialmente nell’orbita dei Savoia con un atto di dedizione al principe Filippo d’Acaia. Ne conseguì che il territorio di Gassino divenne terra di confine tra la Contea savoiarda, il Marchesato di Monferrato e la Repubblica di Chieri. In tale situazione si rese sempre più necessaria l’organizzazione difensiva del borgo nel quale nel 1299 erano terminati i lavori di costruzione della cinta muraria.
Per buona parte della prima metà del XIV secolo Gassino dovette affrontare lunghi e complessi periodi di belligeranza, sempre al fianco del principe Filippo. Tutto questo si evince dai “conti dei castellani”, conservati nell’Archivio di Stato di Torino, nei quali le spese per motivi bellici sono piuttosto frequenti e riguardano le ambascerie con le delegazioni nemiche, le riparazioni del porto e dei mulini rovinati nel corso delle frequenti scaramucce, il salario di soldati di stanza nel borgo nel timore di una recrudescenza delle ostilità, ecc.
Particolarmente degna di nota la spesa fatta dal castellano Guglielmo Dro da Rivoli che nel conto del 1326-27 registra l’uscita di 72 soldi e 7 denari viennesi “per la fabbricazione di uno strumento o artificio fatto per mezzo del frate Marcello per gettare pallottole di piombo”. Di questa particolare spesa, rimasta nell’ombra per diversi secoli, se ne accorse nel 1866 il capitano Angelo Angelucci, esperto di Ingegneria Militare, che nel suo volume “Ricordi e documenti di uomini e trovati italiani per servire alla storia militare” a proposito delle primordiali armi da fuoco precisa che “…l’Italia vanta il più antico documento che si conosca sulle armi da fuoco, cioè il decreto del Comune di Firenze dell’11 febbraio 1326. Il secondo documento lo abbiamo proprio nei Conti della Castellania di Gassino”. Da qui si comprende che l’iniziativa del Comune di Gassino di affidarsi a persona pratica delle armi più avanzate dell’epoca, in questo caso un frate, fu certamente indice di una certa evoluzione dal punto di vista strategico. È quindi importante osservare che, dopo il documento fiorentino del 1326 che accennava a “palle o pallottole di ferro e canne di metallo per i medesimi cannoni” esistente nei Regesta di Firenze, quello di Gassino è posteriore soltanto di un anno. Da osservare inoltre che lo strumento lanciante palle di piombo non aveva ancora da noi particolare denominazione.
Prosegue l’Angelucci: “Marcello è un nome singolarissimo per quell’età, più non trovandosi dopo il V secolo e per mille anni, cosicché io penso che questo non fosse il nome suo originale ma di quello di religione e desunto dal papa e martire Marcello I.
Di lui altra notizia non c’è pervenuta, ma essendo frate, possiamo congetturare che francescano fosse, ossia dei Minori, alle usanze di questi acconciandosi quel lavorar ch’ei fece pel Comune, il quale od eragli patria o davagli almeno il soggiorno.
Nel documento nostro è mentovato l’artefice, del quale poi tacesi in quello di Firenze; e siccome nelle carte fiorentine il nome dell’operaio od artista non è quasi mai omesso, ne possiamo conferire che a Firenze cannoni e pallottole fossero comprati anziché fabbricatevi, mentre il frate artefice lavorava veramente in Gassino”.Non abbiamo alcuna certezza documentata ma è molto probabile che “lo strumento per gettare pallottole di piombo” fabbricato da fra Marcello sia stato utilizzato nella difesa del borgo gassinese durante l’assedio del 1337. In quel momento storico il marchese Giovanni II, succeduto a Teodoro II, giudicò propizio il momento di riprendere Gassino, sottratta al Marchesato di Monferrato nel 1307 da Filippo d’Acaia. Nei primi giorni di giugno del 1337 diede inizio alle scorrerie e alla sistematica rovina del territorio e a novembre dello stesso anno pose l’assedio sotto le mura di Gassino. Tenace e accanita fu la resistenza dei gassinesi. Guglielmo Balestrere ricevette un salario di 9 fiorini d’oro per la difesa di Gassino ove rimase trenta giorni nel mese di luglio e altri ventotto fino al 14 novembre, mese in cui, stanco e avvilito per l’insuccesso, l’irrequieto Giovanni II si decise di togliere l’assedio.